L’ultima volta che il cielo si tinse di viola fu nel 2001: finale di Coppa Italia, contesa col Parma e vinta per 2-1. In porta c’era Toldo (il Toldo delle superparate di Euro2000), in difesa Lele Adani, a centrocampo soldatino Di Livio, in
attacco l’eleganza sublime di Rui Costa dietro a Chiesa, papà. In panchina Roberto Mancini, alla telecronaca Bruno Pizzul.

Ma per trovare un precedente europeo del pass guadagnato a Basilea, bisogna arretrare ancor di più. Sono passati infatti 33 anni, dall’ultima apparizione europea in una finale. Era la Coppa Uefa del 1990, ricordo due volte amaro per i Viola: persa contro i rivali di sempre, la Juventus, e costretti a giocare la partita di ritorno nel campo dell’Avellino, “feudo” storico della Vecchia Signora.

Una gioia europea, alla Viola manca da ben 62 anni: da quella doppia sfida con i Rangers, nell’edizione ’60-’61 della Coppa delle Coppe. I più giovani, tra quelli che la ricordano, oggi hanno 67 anni. Basta questo a immaginare il livello gioiometrico di Fiesole e Ferrovia?

Lo chiamano Rinascimento Italiano, ciò che sta accadendo in questo 2023. Inter, Roma e Fiorentina finaliste nelle tre competizioni europee.
Come di solito accade a noi Italiani, la più alta prova d’orgoglio la si dà dopo una cocente delusione, o una «figura barbina», come dicono a Firenze: la mancata partecipazione al Mondiale, per la seconda edizione consecutiva.

Sarà per via del nome del suo bravo allenatore, ma la Fiorentina questo sangue italiano lo ha dimostrato per tutto il suo entusiasmante tragitto europeo. Dopo essersi imposta sul Twente, nei Playoff di agosto, il cammino nella competizione è iniziato in salita, con un pareggio e una pesante sconfitta contro i turchi dell’Istanbul Başakşehir (la prima «figura barbina» di cui sopra). Dopodiché 13 gol fatti e 2 subiti, nelle 4 vittorie consecutive che hanno permesso alla Viola di passare il turno.
Anche ai Sedicesimi, che pure di fatto erano stati archiviati già nella gara d’andata (4-0 sul campo dei portoghesi del Braga), gli italianissimi gigliati hanno concesso un lungo brivido iniziale: ospiti in vantaggio di 2, dopo soli 33 minuti di gioco. Ecco la leva, di nuovo, ecco la reazione: addirittura triplo assist di un gran Bonaventura per Mandragora, Saponara e per Cabral e tutto sistemato.
Viola molto convincenti invece agli ottavi, quando si impongono senza appello, nella doppia sfida contro i turchi del Sivasspor per 5-1.
In Polinia, ai quarti, si conferma l’indole italiana della squadra di Corsaro (ops!), spietata nello strappare il bottino pieno a casa degli avversari (1-4 sul campo del Lech Poznan) e colpevolmente sazia e spensierata in casa propria. I polacchi infatti al 68’ hanno già completato un’improbabile rimonta: 0-3, recita il tabellone al Franchi. Ci penserà poi Sottil a mettere le cose a posto, dieci minuti dopo, con

un destro piazzato al volo, dal limite dell’area, sugli sviluppi di un calcio di punizione. L’ultima parola del match avrà poi la gorgia toscana, e sarà un «hontropiede» perfetto al 91’, un dolcino confezionato da Barak, Cabral e Nico Gonzales e scartato da Castrovilli.

In Semifinale, contro il Basilea, il copione non cambia: dopo il gol di Cabral, gli svizzeri pareggiano e nei minuti di recupero gelano il Franchi: è 1-2. La Viola è costretta, ancora una volta, a tirare fuori l’altra metà dello spirito italiano: il grande rimedio, l’impresa eroica fuori casa.

Il giorno prima della sfida, in conferenza stampa, Bonaventura chiede: «Ma domani ci saranno tanti tifosi nostri?» La risposta dell’assistente lo stupisce: «2000!» L’espressione di uno dei capitani e massimi trascinatori viola è già il primo atto della rimonta. Ed è anche il momento di transizione in cui questo articolo si immerge in tonalità classiciste, di gusto rinascimentale. Negli occhi del paladino infatti si scorge il cambio di cipiglio, s’intravede il suo spirito abbeverarsi alla brocca della Speranza, sacro nettare calcististo, stillato dal cuore dei tifosi.

Il secondo atto è la partita stessa ed è uno di quei momenti in cui il copione della realtà, se fosse stato frutto della mente di uno scrittore, sarebbe risultato eccessiva, poco verosimile, più vicino all’Iliade di Omero, che alla vera guerra di Troia; o, per usare immagini medicee, più simile alla Nascita di Venere del Botticelli, piuttosto che al graduale sviluppo biologico delle capacità generative degli esseri viventi.

Capitan Biraghi aveva il mancino caldo quella sera e così, al 34’, proprio uno dei suoi pericolosissimi cross viene raccolto dal grande stacco di Nico Gonzales, che svetta indisturbato nel cuore dell’area. «Nicooo!» urla il mitico Massimo Marianella, con l’entusiasmo di chi vede incarnarsi davanti ai suoi occhi, nel giardino dove si corre e si fatica, il sogno leggero e danzante delle Muse del Calcio. Come in ogni racconto epico però, non può andar tutto liscio. Ecco allora che il Narratore neo-classicista e rinascimentale dell’impresa di Basilea (chiunque egli sia), per incrementare il pathos della vicenda, ci mostra il punto debole dell’eroe (un’allarmante vulnerabilità difensiva, assolutamente da registrare in vista della finale) e proprio lì fa affondare il colpo all’antagonista: Amdouni si prende gioco di Igor e fa esplodere il St. Jakob. È 1-1.

Il traguardo della Fiorentina è ancora più lontano: tutto da rifare e soltanto 35 minuti per farlo. Niente di meglio, per una narrazione epica, lussereggiante di emozioni. La formazione di Italiano spinge e a un quarto d’ora dalla fine, ancora con Nico Gonzales, trova il gol che rimette il verdetto in parità. Si va ai supplementari.

È un vero e proprio assedio, ma gli déi del calcio non sembrano accordare il loro favore alla Viola. Ma non è così. È soltanto che un finale, se a scriverlo è un dio del

mondo classico, deve essere improbabile, irrealistico, perfetto e perciò incredibile: memorabile.
Allora all’ultimo minuto Nico Gonzales, il massimo eroe della serata, lancia in mezzo la palla del destino: Jovic riesce a fare una debole sponda in area che sembra un regalo per i difensori del Basilea. È invece una cavallo di Troia, dietro il quale si nasconde Barak. Il resto sono solo urla di gioia, canti e cuori viola in estasi.

Il 7 giugno 2023, Firenze ha l’occasione di darsi e dare a tutti noi italiani un’immensa felicità, nell’anno del Rinascimento. Il nome del teatro in cui si svolgerà l’ultimo atto di questa epica avventura, a questo punto, ha tutta l’aria di non essere una coincidenza.

Foto di Luca Taddeo